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Scoppia la polemica!

Tralasciando il caso disperato di Alessandra Vaccari, militante della disinformazione, prendiamo qui in considerazione un recente articolo di Elisa Pasetto, altra promessa del giornalismo scandalistico locale.

A quale polemica starebbe esattamente facendo riferimento la giornalista se non a quella che lei stessa vorrebbe sollevare con il suo articolo? Chi altro starebbe partecipando alla animata controversia? Se di polemica si vuole parlare, trattasi di una polemica del tutto strumentale. Quello che abbiamo sotto gli occhi è più semplicemente un consapevole attacco politico ad uno spazio autogestito da studenti e studentesse, mosso attraverso un articolo che poggia su illazioni, calunnie e testimonianze rigorosamente anonime borbottate nei corridoi (corridoi che rinomatamente, al termine della sessione di esami, pullulano di studenti che dibattono di attualità).

Un attacco portato avanti con un linguaggio che è espressione di una cultura asservita al potere, secondo cui lo studente “politicizzato” sarebbe additabile di non si sa bene quale colpa, figura da macchiettizzare ed emarginare. Un attacco, quindi, alla consapevolezza politica stessa di chi si muove al di fuori del qualunquismo dilagante.

E qui si torna indietro di qualche anno: l’uso della k! Addirittura maiuscola! Da dove sarebbe stato ripreso questo colorito appellativo? Chiaro, il nome se l’è inventato di sana pianta la collega di redazione Alessandra Vaccari nel suo allucinato articolo del giorno prima. Elisa, da ottima giornalista qual è, non fa che riprenderlo senza verificare che nella realtà esista niente di simile.

L’informazione è totalmente sbagliata. Al collettivo Studiare Con Lentezza non è stata data, concessa, regalata nessuna aula. Il collettivo è semplicemente una delle realtà che stanno beneficiando della possibilità di sperimentare un’importante esperienza di autogestione studentesca, risultato di una una lunga campagna di sensibilizzazione durata mesi e mesi, portata avanti anche attraverso una raccolta firme che ha registrato moltissime adesioni tra studenti, professori e presidi.

Attraverso questa campagna il collettivo Studiare Con Lentezza è riuscito a far guadagnare alle facoltà umanistiche uno spazio libero, aperto all’iniziativa degli studenti e delle studentesse, sull’esempio di esperienze simili presenti in quasi tutti gli atenei italiani ed europei. “Uno spazio dove confrontarsi e rielaborare le conoscenze in un contesto partecipato, diverso da quello formale della lezione”, “un luogo di incontro dove intrecciare percorsi e condividere prospettive”, “uno spazio conviviale dove potersi rilassare davanti ad un buon tè e fare due chiacchere tra una lezione e l’altra”.. volendo citare il volantino con il quale è stato pubblicizzata la sua inaugurazione.

Politicizzati. Appestati. Brutta gente. Immaginate cosa possa tener banco durante una sessione d’esame nei corridoi semideserti dell’università. Non potete capire il frastuono generato dalle polemiche. Suvvia Elisa, con chi hai parlato? Non ce lo vuoi proprio dire? Chi sono questi tuoi anonimi confidenti?

Ma che bella immagine! Un’accusa che serpeggia, striscia silenziosa tra gli iscritti. Gli iscritti, in generale. Ventimila studenti non stanno parlando d’altro. E dei saluti romani fuori dal Polo Zanotto all’interno di una manifestazione organizzata da una lista studentesca? Su quelli non una parola, nessuna polemica. Non sento, non vedo, non parlo.

Ma torniamo al permessivismo. Interessante come sia la giornalista stessa a fornire un’informazione sufficiente a smontare l’impianto dell’accusa: “sono entrati singolarmente”, scrive. Allora ti spieghiamo meglio cos’è successo, Elisa. Quando si vuole manifestare un dissenso lo si fa nelle forme che la propria intelligenza suggerisce. C’è chi ha pensato che per l’arrivo del ministro Profumo fosse opportuno indire un corteo inquadrato ed autoreferenziale, lanciando un appello nazionale all’interno della propria area politica, nei forum e nei siti ufficiali del movimento, sulle pagine facebook di assessori e consiglieri amici per far arrivare camerati (che di fascisti stiamo parlando) da un po’ tutta Italia. Ha ottenuto i permessi per farlo, ha portato avanti la protesta nella forma che ha scelto e ne ha tratto le conseguenze.

C’è invece chi ha pensato fosse più astuta ed efficace un’altra modalità. Entrare singolarmente senza lanciare nessuna contestazione ufficiale, arrivando così a comunicare direttamente con le persone cui era intenzione rivolgersi e a manifestare il proprio dissenso direttamente a chi sta portando avanti le politiche di smantellamento e privatizzazione di scuola e università. Nessuno ci ha permesso di farlo. Siamo semplicemente riusciti a muoverci nella maniera più intelligente per poterlo fare. Altri sono rimasti fuori, isolati, ad inscenare il teatrino degli scontri per ottenere visibilità mediatica.

Elisa nell’articolo si bada bene dal citare le studentesse di scienze della formazione che sono riuscite a portare la loro protesta addirittura dentro l’aula magna dove hanno manifestato alzando fogli e cartelli. Episodio che evidentemente non tornava utile ad alimentare la sua polemica contro “i ragazzi dei collettivi”.

Come già chiarito, si tratta di semplici illazioni e calunnie anonime dettate nel migliore dei casi dall’ignoranza. Diversamente sono espressione di un giornalismo a servizio. Una giornalista seria avrebbe quanto meno sentito la necessità di informarsi prima di pubblicarle. Un giornale serio se ne assumerebbe la responsabilità. Ma non è questo il caso.

E perchè mai quel “però”? E’ appena stato citato nell’articolo il professor Romagnani, il quale conferma che l’aula non è la sede di rappresentanza di gruppi specifici, ma uno spazio aperto a tutti i gruppi e tutti gli studenti e le studentesse. Studiare Con lentezza è un collettvo informale di studentesse e studenti regolarmente iscritti alle facoltà umanistiche, non rappresenta nessun partito, nessuna struttura o gruppo politico istituzionale, è un luogo di libera discussione e confronto frequentato da diversi punti di vista ed ha pieno diritto di cittadinanza all’interno dello spazio autogestito.

Il fatto che per l’organizzazione della protesta siano stati coinvolti altri gruppi cittadini esterni all’università è dovuto al semplice fatto che le politiche portate avanti da questo governo in materia di scuola e università non riguardano semplicemente l’università, ma l’intero tessuto sociale. Correttamente il volantino distribuito è stato firmato dalle diverse sigle proprio per evitare che venisse fatta confusione. Quella confusione a cui vorrebbero invece ricondurre appellativi come “Kollettivo”, “indignati”, “antagonisti”, “quelli dei centri sociali”.

A proposito, qualche giornalista può indicare ai suoi lettori e alle sue lettrici in quale luogo della sua fantasia sono ubicati i famosi “centri sociali” veronesi?

Da sottolineare la correttezza della giornalista: di un colloquio telefonico durato più di mezzora in cui sono state spiegate per bene le modalità attraverso cui lo spazio è partecipato e partecipabile, dove sono state illustrate le iniziative culturali e gli svariati progetti prodotti nei primi due mesi di apertura, sono state riportate esclusivamente queste due righe in cui probabilmente pensa di aver individuato una qualche ammissione dell’uso scorretto dello spazio. Complimenti Elisa. Farai parecchia strada.

Cosa resta da aggiungere: chi crede a quello che legge su L’Arena merita di credere a quello che scrive L’Arena 🙂